Thursday, April 25, 2024

Vecchiaia e disabilità spesso incrociano i bisogni ma solo talvolta si sovrappongono perfettamente nella stessa persona. Il rischio che si corre in Lombardia è invece che, superata una certa età, i disabili che non riescono più ad essere assistiti in famiglia ricevano l’etichetta di «anziani tout court» e vengano indirizzati in strutture sanitarie e residenziali tarate su un’utenza media con dei bisogni diversi dai loro.

L’OFFERTA LOMBARDA – «Ndd», «Cdd», «Css», «Rsa»», «Rsd»»: ecco le sigle principali del panorama di servizi e strutture residenziali che le persone disabili incontrano nel loro percorso di vita in Lombardia. Per chi continua a vivere in casa, assistito in varia misura dai propri cari, ci sono infatti i Nuclei distrettuali disabili (Ndd) ovvero una rete di supporto presente nel capoluogo lombardo e rivolta alle persone con invalidità superiore al 45% e con 60 anni di età massima: una sorta di struttura di appoggio alle famiglie integrata con le diverse attività proposte dai Centri diurni per disabili (Cdd). Per tutte le altre persone con handicap esistono invece differenti soluzioni di accoglienza: le Comunità socio sanitarie (Css), pensate per individui che abbiano un certo livello di autonomia e possibilità di relazioni di buona qualità; le Residenze sanitario assistenziali per disabili (Rsd) , che ospitano generalmente chi abbia handicap anche gravi ma un’età spesso intorno ai 40 anni, e comunque – salvo deroghe particolari – non oltre i 60; infine le Residenze sanitarie assistenziali per anziani (Rsa), che accolgono di norma i disabili di qualsiasi gravità che abbiano superato i 65 anni.

LE CIFRE E I PROBLEMI – I dati del 2009 dicono che le «Rsa» in Lombardia contano 54 mila posti, con un’età media dei ricoverati di quasi 84 anni. Tremila sono invece i posti in «Rsd» e circa 1.100-1.200 in «Css». Una differenza significativa tra «anziani tout court» e disabili over 65 sta proprio nella permanenza media in «Rsa»», che è di 3 anni e mezzo per i primi mentre, a vedere gli ospiti ricoverati o residenti in «Rsd» e «Css» presso l’Istituto Don Orione di Milano, arriva a 10-15 anni per i secondi. Sono queste le cifre che sciorina Renzo Bagarolo, direttore sanitario proprio dell’Istituto Don Orione, il quale ricorda anche come alcune stime approssimative dicano che in Lombardia sono 100 mila le persone disabili in famiglia (età tra 6 e 65 anni) e circa il 50% di loro – in base al tasso d’invecchiamento non tanto dei disabili quanto della famiglia che li assiste – dovrà affrontare un problema di ricovero o richiesta di residenza nei prossimi 10 anni. Il problema, perciò, sostiene il dottor Bagarolo, è pressante e consiste nel fatto che «i disabili di 55-60 anni che chiedono servizi di residenzialità non possono andare in «Rsd» perché i posti sono pochi e perlopiù occupati da quarentenni con problematiche, percorsi di vita e di cura molto diversi dai loro. E, d’altra parte, come si fa a inserire in «Rsa» un disabile di 60-65 anni con un determinato progetto ancora attivo e un’aspettativa di 10-15 di vita tra anziani ultra ottantenni, magari anche disabili, ma che hanno un’aspettativa media di permanenza di 3 anni? Gli uni hanno ancora prevalentemente un bisogno di relazione, gli altri soprattutto di cura». Una sottolineatura condivisa anche da Maurizio Cavalli, responsabile del Sir, consorzio di cooperative che si occupano di disabilità: «I Nuclei dipartimentali disabili “dimettono” quasi amministrativamente la persona seguita fino al giorno prima, una volta compiuti i 60 anni. Ma la persona disabile a quell’età non è ricollocabile nel mondo degli anziani “normali”. [...] La Residenza sanitaria per anziani è molto diversa da una “Rsd” e – di norma – ospita prevalentemente persone più vicine ai 90 che ai 70. Il disabile che vi si trova a 65-70 vive in contesto poco adeguato e assai diverso rispetto a quello sperimentato fino al giorno primo. Sarebbe perciò opportuno far saltare gli automatismi, considerando la persona a seconda del suo personale progetto di vita».

RISPOSTA MIRATA MA COSTI ELEVATI – Questione di automatismi normativi, insomma, che considerano «vecchie» persone disabili che, a 65 anni, non possono più vivere in casa assistite da genitori ormai molto anziani ma che in «Rsa» non riescono, pur essendone in grado, a mantenere relazioni, autostima di sé, e abilità faticosamente acquisite nella vita perché l’approccio che il personale standard delle case di riposo offre loro non è adeguato alle aspettative: in «Rsa» si fa animazione per attività (tombola, teatro, il momento di ascolto musica…) e non per progetti di vita. La soluzione potrebbe però trovarsi nella sperimentazione condotta all’Istituto Don Orione con le residenze per disabili invecchiati (magari un domani «Rsdi»…) ovvero, spiega ancora Bagarolo, «nuclei molto piccoli, tendenzialmente con una decina di posti, dove abbiamo inserito uno standard di assistenza molto alto e con prevalenza alle figure educative, che sono quelle che garantiscono la continuità di progetto di vita del disabile. Nuclei specifici dedicati a persone specifiche». In attesa che i risultati dicano se questa è la via giusta, il consueto asino «casca», però, sulla questione economica. Il direttore del Don Orione non lo nasconde, e anzi sottolinea che «mentre la “Rsa” è tarata su costi più bassi e minutaggi di personale ridotti, il disabile anziano ma non vecchio richiede minutaggi, costi e competenze più alti. A Milano la Asl paga un costo complessivo di 112 euro al giorno per ogni persona assistita in “Rsa”, se si volesse fare invece un buon lavoro coi disabili il costo salirebbe intorno ai 120-130 euro». Di tutto ciò, ma non solo, Cavalli e Bagarolo discuteranno insieme ad altri esperti in un seminario dal titolo «Le persone con disabilità continuano a diventare anziane», organizzato a Milano da Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) e Caritas Ambrosiana il prossimo 25 marzo.

Fonte: Corriere.it